PREFAZIONE
a cura di Luna Donvito
La mia mano non trema, la mia mano vibra.
La nuova serie di opere di Antonio Manta è il racconto sensoriale di una parte di vita dell’artista, una parte importante e profonda. È la storia di un cambiamento.
Il lavoro di un artista, oltre alla costanza e all’imprescindibile genio, richiede coraggio. Perché non è facile vendere pezzi della propria anima, non è facile metterli sul banco, non è facile distaccarsene. Il lavoro di un artista richiede coraggio e verità, tanta, infinita - e talvolta dolorosa - verità.
«Questo progetto è nato dalla voglia di capire se fossi stato ancora capace di fotografare. Da diversi anni soffro di un tremore alle mani, che mi ha costretto ad usare la macchina con strattagemmi per non avere il mosso, l’immagine sfocata. Ma come proprio io che di fotografia mi nutro da sempre? Ma perché proprio la mia mano che serve a chiudere il cerchio perfetto dello scatto? Lei che compie l’atto supremo del mio fare. Perché lei, perché io?
La mia prima reazione, figlia dell’istinto e della paura, è stata buttar via la macchina fotografica. Scaraventarla nella parte più buia e nascosta della mia esistenza. Ero caduto, sprofondato. Poi, con il senno e la saggezza che arrivano sempre in seconda battuta, ho voluto raccontare la storia con mie vecchie foto e con alcune nuove, saltuarie, scattate con una fatica tremenda. Tutte le volte che prendevo tra le mani la macchina era come alzare un masso immenso. Ogni scatto era un macigno. Le mani pesavano tonnellate, le palpebre quintali.
È stato proprio in quell’abisso, in quel fondale oscuro, che è germogliata la mia catarsi: con molto impegno e molta riluttanza ho ripreso a fotografare. Ho cominciato a sperimentare un’idea e cioè accentuare il mio difetto per poter esprimere il mio stato d’animo. Sentivo un bisogno tremendo di lavorare su questo fronte e tentare di buttare fuori quello che avevo dentro. Quel tremore va raccontato, ho pensato, come una naturale estensione della mia mente e non come un ostacolo del mio corpo».
Antonio Manta ha iniziato questa serie fissando una pausa metrica nella sua vita personale, professionale e dunque artistica. In un momento in cui gli eventi e i fatti gli hanno chiesto una rivoluzione, un colpo di reni dell’animo, lui ha risposto. E ha trovato in questo atto di trasformazione la sua natura di uomo avvicinarsi a quella di un animale così ricco di dicotomie come il lupo. Prima con l’istinto, poi con la saggezza ha reagito.
Quel tremore delle mani, dapprima bacino sconfinato di terrore e paradossale immobilità, è diventato il grembo di una serie di opere straordinarie, nel senso più puro del termine. Fuori dalla consuetudine e dall’ordinarietà, quel tremore è diventato un orgasmo creativo. E come con tutti gli orgasmi, il corpo trema.
Figure, paesaggi, animali perdono i profili netti delle loro forme: il contorno si dissolve, si muove, si sfoca. Non c’è ombra di linee precise e di limiti, i ritratti esplodono, si animano e valicano ogni confine.
Nulla può bloccarli, niente può addomesticarli: questi scatti sono liberi, queste immagini sono lupi.
Di lupi e sognatori
di Antonio Manta
Dentro alcune persone esiste un’anima coraggiosa, che non si arrende di fronte alle difficoltà o agli ostacoli che l’esistenza pone sui loro cammini; qualcosa che le spinge a dare il meglio, sempre e comunque. Spesso queste anime sole non scelgono i percorsi più semplici o i più comodi ma seguono semplicemente quello che sentono nel profondo senza preoccuparsi troppo delle conseguenze.
Quello che le contraddistingue è che sentono un profondo desiderio di servire, di mettersi a disposizione di una causa più grande: sanno che la loro crescita passa attraverso il contributo che possono portare al mondo, imparando, a loro volta, da tutti coloro che incontrano sul loro percorso, per poi restituire questo sapere ad altri.
Purtroppo, la nostra epoca e i nostri valori sociali spingono queste persone a rifugiarsi nell’ombra, a fuggire la notorietà e i riconoscimenti, a nascondersi quasi fino a scomparire, ad eclissarsi e non è raro che a volte le persone si dimentichino perfino che esistano.
Del resto, viene suggerito fin dalla scuola di conformarci, di essere tutti uguali, di aderire ad un modello di vita senza nemmeno capire se esistano delle alternative possibili e percorribili.
Fare scelte diverse ovviamente costa, ha i suoi risvolti negativi: sconfitte, dolore, frustrazione, cicatrici e momenti di solitudine che alle volte sembrano non avere fine.
I sognatori sono diversi, è vero, possono essere visti come pazzi, visionari, addirittura fannulloni, ma è davvero questa la realtà? Qualcuno si è mai chiesto cosa provano a mettere tutto quello che hanno in gioco senza preoccuparsi della sconfitta? Quanti con vera empatia si son messi nei loro panni provando a pensare quanto vero cuore e profondo altruismo ci sia dietro un gesto disinteressato che potrebbe non restituire nulla in cambio?
Quanto costa quel muro che si creano di forza o di allegria, che alle volte sembra invulnerabilità?
Chiamateli pazzi, sognatori, contrari, se ne avete paura allontanateli pure, ma loro continueranno ad esplorare, a sognare, a sperimentare nuove vie, a comunicare con tutti, per poi lasciare agli altri le glorie e il sapere. E lo faranno sempre con una forza che viene proprio da quelle che molti definiscono sconfitte.